Il problema della plastica è ormai diventato tangibile e non più trascurabile. Le soluzioni del riciclo non sono più valide ed è divenuto necessario, oltre a non favorire l’acquisto di prodotti e imballaggi in materiale plastico, iniziare ad investire nella ricerca di polimeri sostitutivi la cui caratteristica principale è l’essere 100% biodegradabili.
Contrariamente a quanto si può pensare, anche noi italiani ci siamo buttati a capofitto in questa green mission e non stiamo di certo con le mani in mano. Oltre al mais, utilizzato come componente principali dei sacchetti compostabili che abbiamo imparato a conoscere molto bene, è il miscanto la nuova materia ad entrare in gara. Planeta Renewables, startup di universitari, sta investendo proprio in questo tipo particolare d’erba che cresce spontanea nei terreni incolti per trovare il degno sostituto al derivato del petrolio mentre Packtin, startup dell’università di Modena e Reggio Emilia, propone plastica biodegradabile a partire dall’utilizzo di scarti alimentari.
La siciliana Kanesis punta tutto sugli scarti della canapa, Eggplant sugli scarti caseari ma la vera regina della bioplastica è proprio dietro casa: stiamo parlando di Bio-on, azienda bolognese quotata in borsa a Wall Street. La loro ricerca si è orientata verso la scoperta di un polimero che avesse le stesse potenzialità di quello plastico in termini di resistenza ma completamente ad impatto zero per l’ambiente e l’hanno trovato, ricavandolo dal prodotto di scarto della barbabietola.
I tempi per far sì che si punti tutto sui combinati biodegradabili potrebbero essere, insomma, finalmente maturi: l’attenzione dei consumatori verso la questione ambientale è aumentata significativamente, la ricerca in campo scientifico avanza e il mercato è in crescita.
Speriamo che la battaglia tra competitor di bioplastiche non faccia né vinti né vincitori, ma riesca semplicemente a trovare un’alternativa reale al polimero derivato dal petrolio. Perché, come dice Greta, il tempo non è più dalla nostra parte.